Oggi la firma della integrazione del “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” rende opportuno e, speriamo, utile questo nuovo aggiornamento.

In calce a questo articolo, troverete anche un cenno al fastidioso Avviso del 23.4.2020 del Ministero del Lavoro in merito alle modalità di deposito della domanda di Cassa Integrazione Guadagni in Deroga per le plurilocalizzate.

Il nuovo Protocollo

Il protocollo riporta in massima parte i contenuti del precedente Protocollo del 14 marzo 2020; ci limiteremo quindi a riassumere le novità più importanti rispetto alla precedente stesura del Protocollo, rinviando per il resto alla lettura del provvedimento, che contiene la disciplina delle misure da adottare in vista della auspicata riapertura delle attività, che si prevede avverrà – come fa presagire il DPCM del 10.04.2020, seppur probabilmente in modo parziale e progressivo – dal 4 maggio 2020.

Il Protocollo precisa già nelle premesse che la “mancata attuazione del Protocollo … determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”: meglio leggerlo con attenzione, quindi, se non volete essere catapultati nuovamente sul divano di casa, dopo pochi attimi di anelato rientro al lavoro … 

Analizzando i capitoli che compongono il Protocollo, ecco le maggiori novità

1) Informazione

Si introduce l’obbligo per l’azienda di fornire una informazione adeguata, sulla base delle mansioni e del contesto nel quale debbano essere svolte, sul corretto utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) atti a prevenire qualunque forma di contagio.
Andranno quindi sviluppati i meccanismi di informazione e, ancor più, di documentazione e prova della formazione fornita ai dipendenti.

2) Modalità di ingresso in azienda

Vengono esplicitati i limiti legati alla normativa sulla privacy da applicare in caso di controllo della temperatura corporea all’ingresso dell’azienda. 
La privacy, in Italia, anche quando viene temporaneamente messa da parte (come era avvenuto in merito al controllo della temperatura corporea), torna sempre a imperversare …

La nota 1 del Protocollo, a pag. 6, è un luminoso esempio di come si possa complicare inutilmente la vita alle aziende che vogliano proteggere dal contagio i loro dipendenti. 

In breve:

  • non si deve “registrare” il dato acquisito con la misurazione della temperatura (e fin qui ci può stare);
  • si deve fornire l’informativa sul trattamento dati personali, si suppone prima di misurare la temperatura, secondo i parametri indicati nella nota (salviamo gli uomini, ma devastiamo le foreste: quanta carta sprecata!);
  • si devono definire le misure di sicurezza per la protezione dei dati;
  • in caso di isolamento dovuto al virus, si decono assicurare modalità tali da garantire la riservatezza e dignità del lavoratore.

Non contento dei contenuti della nota 1 …  il redattore del Protocollo ne introduce una seconda, una seconda nota 1 per capirci, che introduce limitazioni legate alla privacy anche qualora il datore di lavoro chieda il rilascio di una dichiarazione attestante la non provenienza dalle zone a rischio.

Vi invito sul punto a leggere la seconda nota 1, che come la prima, per semplificare le cose, è a pag. 6 del Protocollo.

L’ingresso in azienda di dipendenti risultati in passato positivi al COVID-19 dovrà essere preceduto da una comunicazione circa la “avvenuta negativizzazione” (negativizzazione? Ma a che lingua appartiene questa strana parola?) secondo le modalità previste dal dipartimento territoriale di competenza.

Il datore di lavoro deve fornire la “massima collaborazione” se le autorità territoriali introducano misure più restrittive di quelle previste dal Protocollo.

3) Modalità di accesso dei fornitori esterni (appalti endoaziendali)

Obbligo di informativa da parte dell’appaltatore nei confronti del committente, per appalti endoaziendali, in merito a dipendenti risultati positivi e obbligo di collaborazione da parte di committente e appaltatore per supportare l’autorità sanitaria nella individuazione di eventuali contatti stretti.
Obbligo della committente di informare gli appaltatori circa i contenuti del Protocollo aziendale e di controllare che gli appaltatori lo rispettino.

4) Pulizia e sanificazione

Nelle aree geografiche “a maggiore endemia” (il termine desueto utilizzato dai redattori evoca, forse non a caso, la “Endemol”, ossia la casa di produzione televisiva che alcuni decenni addietro diffuse in Italia il “virus” del … Grande Fratello), che si suppone siano le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (ma il dato non è precisato), in aggiunta alle normali attività di pulizia, viene reso necessario provvedere, alla riapertura, a una sanificazione straordinaria degli ambienti ai sensi della circolare 5443 del 22 febbraio 2020, che trovate qui.

5) Precauzioni igieniche personali

Obbligo di rendere accessibili ai dipendenti “specifici dispenser” collocati in punti facilmente individuabili.

6) Dispositivi di Protezione Individuale

Obbligo, per i lavoratori che condividano spazi comuni, di utilizzo della mascherina chirurgica.

7) Gestione spazi comuni

Nessuna novità rispetto alla prima versione del Protocollo

8) Organizzazione aziendale

Si precisa che il lavoro a distanza continua a essere incentivato anche nella fase di progressiva riattivazione del lavoro, “ferma la necessità che il datore di lavoro garantisca adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività (assistenza nell’uso delle apparecchiature, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause)”.

Viene sancito l’obbligo di rispettare il “distanziamento sociale” attraverso anche una “rimodulazione degli spazi di lavoro”, con l’invito a utilizzare come postazioni di lavoro anche “uffici inutilizzati” e “sale riunioni”.

Si suggerisce l’introduzione di orari di lavoro differenziati che favoriscano il distanziamento sociale; un suggerimento che può essere interpretato come l’attribuzione alle aziende della facoltà di modificare unilateralmente la distribuzione dell’orario di lavoro a tutela dei lavoratori, senza che questi ultimi possano sollevare eccezioni o contestazioni di sorta.

Si invitano le aziende a incentivare modalità di spostamento dall’abitazione all’azienda e viceversa, favorendo l’uso del mezzo privato o di navette (non si comprende per quale motivo le navette favoriscano il distanziamento sociale; il mezzo privato, sicuramente, sì).

9) Gestione entrata e uscita dei dipendenti

Nessuna novità rispetto alla prima versione del Protocollo

10) Spostamenti interni, riunioni formazione

Nessuna novità rispetto alla prima versione del Protocollo

11) Gestione delle persone sintomatiche in azienda

Si aggiunge semplicemente la previsione secondo la quale il lavoratore, al momento dell’isolamento, deve essere subito dotato di mascherina chirurgica.

12) Sorveglianza sanitaria, medico competente, rls

Il medico competente può suggerire mezzi diagnostici per limitare la diffusione del virus.
Al momento della ripresa delle attività è opportuno coinvolgere il medico competente per identificare i soggetti con particolari fragilità e per il reinserimento di lavoratori con pregressa infezione COVID-19, nei confronti dei quali, quindi, possono essere introdotte limitazioni per garantirne un reinserimento progressivo e sicuro per tutti.

Il medico competente, per i cosiddetti “negativizzati”, deve effettuare la visita preventiva indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia (la frase nel Protocollo è complessa e involuta, ma sembra potersi affermare che i firmatari intendessero prevedere la visita anche per malattia di durata inferiore ai 60 giorni, iniziativa comunque altamente consigliabile).

13) Aggiornamento del protocollo di regolamentazione

Viene prevista la creazione di un “Comitato Territoriale” composto dagli organismi paritetici per la salute e sicurezza, con il coinvolgimento degli RLST e dei rappresentanti delle parti sociali, per le aziende dove non vengano costituiti i Comitati per l’applicazione e la verifica del Protocollo: un invito, seppur implicito, a costituire i comitati aziendali, prima di trovarsi invischiati nelle confuse spire dell’ennesimo organismo paritetico … !

In ogni caso viene prevista la possibilità di costituire, a livello territoriale o settoriale e su iniziativa dei firmatari del Protocollo, dei “Comitati per le finalità del Protocollo”, anche con il coinvolgimento delle autorità sanitarie locali e e degli altri soggetti istituzionali. 

Non è invece ancora prevista, ma si prevede lo sarà, la creazione di “Comitati per il controllo delle finalità dei Comitati per le finalità del Protocollo” e a cascata di altri inutili Comitati finalizzati a controllarsi a vicenda … 

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Il fastidioso avviso del 23.04.2020 del Ministero sulla CIGd per le plurilocalizzate

Come un fulmine a ciel sereno, ieri il Ministero (i cui funzionari evidentemente sono già affaticati per l’eccesso di lavoro dovuto alle domande di CIGd) ha comunicato, in un laconico “avviso” (lo trovate qui), che le aziende plurilocalizzate (con sedi o unità produttive o operative in almeno 5 regioni) dovranno fare, oltre alla istanza (originariamente prevista come unica) da presentare direttamente al Ministero, anche una seconda istanza per ciascuna Regione qualora abbiano sedi o unità site in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (le regioni per le quali è prevista la possibilità di fruire di 4 settimane aggiuntive rispetto alle 9 settimane previste per il resto d’Italia).

Le domande presso le tre Regioni dovranno essere effettuate seguendo le istruzioni fornite dalla regioni, che come ormai tutti sappiamo, sono diverse l’una dall’altra e di assai difficile comprensione.

Sentivamo tutti la mancanza di un nuovo elemento di complessità nella gestione degli ammortizzatori sociali, considerato che la maggior parte delle aziende plurilocalizzate la domanda l’ha già fatta e ne ha fatta una sola.

Nulla è perduto comunque, tranne il tempo di chi dovrà dedicarsi a presentare la seconda domanda a livello regionale…